martedì 20 novembre 2007

Giordania alle urne, solita storia?


Tra circa cinque ore, alle sei di mattina qui in Italia, le sette in Giordania (il mio paese per chi non lo sapesse), si apriranno le urne per l’elezione dei 110 deputati del parlamento giordano. Direte voi “e allora”?
In effetti la Giordania non è certamente un paese importante da suscitare l’interesse del lettore occidentale in tali elezioni, non ha sicuramente il peso politico e l’importanza dell’Egitto o la delicatezza e il fascino del Libano, però viene catalogato spesso, insieme ad altri paesi simili retti da monarchie filo-occidentali, come “democratico”. Ne vorrei parlare un po’…

Il concetto di democrazia è indubbiamente complesso, tutto è democrazia e nulla lo è. Le scelte in famiglia su chi deve fare un determinato compito sono "democrazia". Anche le elezioni tribali tra i beduini per scegliere un loro sceicco sono in un certo senso “democrazia”.
Allora cosa voglio dire? Che la Giordania è un esempio lampante di come la democrazia non si può imporre perché quando manca la “cultura democratica” non se ne fa niente. Il sistema ad Amman è democratico, almeno a livello parlamentare, visto che poi il governo è di fatto nominato dal sovrano e successivamente passa in parlamento per la fiducia che chiaramente diventa automatica viste le indicazioni giunte “dall’alto”!

Possiamo quindi dire che almeno il parlamento in Giordania è una forma di democrazia, come viene intesa in occidente? Ecco, non proprio. Per vari motivi, il primo è quello legato alla sua “limitata” autorità, per esempio non ha nulla a che fare con la politica estera del paese. Il secondo riguarda la poca maturità politica della società giordana, che dimostra come la democrazia nel vero senso del termine non è solo elezioni e urne. Nel parlamento giordano ci arrivano quasi sempre quelli che alle spalle hanno grandi tribù. Perché nonostante lo sforzo continuo di far maturare la società civile il voto va quasi sempre, in un paese di cinque milioni di abitanti e decine di tribù con migliaia di appartenenti, al cugino, allo zio, al parente lontano. Solo un numero esiguo di rappresentanti vince perché rappresenta un pensiero politico, quasi tutti sono islamici, poi ci sono sempre quei due socialisti arabi incalliti e il comunista accanito. Novanta e passa deputati rappresentano solo se stessi, non hanno alcun legame con partiti politici o movimenti e vincono solo per la tribù di appartenenza e per la disponibilità finanziaria necessaria a farsi una bella campagna elettorale fatta di grandi pranzi e promesse a dir poco “fantastiche”! In sostanza una tribù unisce i suoi “figlioli” migliori, li valuta e poi decide che tizio, laureato a Londra, Master e Boston e alto dirigente aziendale, è quello giusto da mandare in parlamento, perché da una parte resterà fedele alla tribù dati i legami di sangue quasi “sacri” nella società giordana, dall’altra sarà in grado di mostrare al mondo un volto “colto” e “moderno” della Giordania.

Negli ultimi anni si “sente” la voglia, sia nella società che nelle autorità, di dare una svolta a questo modo di fare “democrazia”. Gli ultimi giorni sulla tv giordana sono stati un susseguirsi di programmi che in sostanza dicevano due cose, di votare con coscienza per la nazione e non per la tribù e di scegliere le idee, non i nomi. Si è parlato molto di donne, che hanno un “quota rosa” che garantisce sei seggi minimi. La volta scorsa se non fosse stato per la “quota” non ci sarebbe stata neanche una parlamentare, e pare che a “stroncare” la carriera politica delle candidate donne siano le donne stesse. Questa volta su 900 candidati 200 sono donne, le aspettative sono molte, ma credo che anche questa volta difficilmente riusciranno ad andare oltre ai 5-10 seggi.

In Giordania si vota dagli anni cinquanta, ci sono stati alti e bassi, secondo alcuni il parlamento contava più cinquanta anni fa che oggi. Altri non hanno mai creduto nella democrazia giordana. Poi ci sono gli speranzosi, tra questi mi ci infilo anch’io. Elementi per sperare ci sono, il principale è la giovane età della società giordana, dove circa la metà della popolazione ha meno di 30 anni e i giovani sono, in ogni società del mondo, il vero motore del cambiamento. Chi vivrà vedrà!

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